Trieste Libera

TRIESTE DICEMBRE 1918, OPERAZIONE EPURAZIONE: ALLONTANATE I CATTIVI ITALIANI DA TRIESTE

TRIESTE DICEMBRE 1918, OPERAZIONE EPURAZIONE: ALLONTANATE I CATTIVI ITALIANI DA TRIESTE

TRIESTE DICEMBRE 1918, OPERAZIONE EPURAZIONE: ALLONTANATE I CATTIVI ITALIANI DA TRIESTE

Intestazione dell’ufficio I.T.O. con l’elenco dei cittadini con “pessimi precedenti” che non possono “diventare buoni italiani in territorio redento”.

Trieste città astorica: astorica perché i suoi caratteri testimoniano la storia plurinazionale della Mitteleuropa, mentre i suoi nomi esprimono soltanto l’ossessione nazionalistica.

Claus Gatterer, storico (citazione dal libro “l’identità cancellata” di Paolo G. Parovel)

Il 3 novembre del 1918 con l’arrivo delle truppe italiane cessava la libertà di Trieste.

Dopo 536 anni di felice unione con l’Austria (alla quale aveva fatto atto di dedizione volontaria nel 1382) che l’aveva trasformata da piccolo borgo di pescatori al più grande porto dell’Impero e del Mediterraneo, Trieste, la perla dell’Adriatico, venne occupata militarmente dall’Italia.

Era stata uno degli obiettivi principali durante la Prima Guerra Mondiale da parte dell’esercito italiano che per conquistarla aveva reiterato per tre anni sanguinosi bombardamenti (LINK) e feroci offensive, tutte respinte fermamente dai difensori austroungarici che bloccarono il nemico inchiodandolo davanti all’Hermada, per poi travolgerlo con lo sfondamento di Caporetto ricacciandolo fino al Piave e liberando la popolazione inerme dall’incubo delle bombe.

Solo la fine di una guerra che le Potenze Centrali avevano combattuto per quattro anni contro la soverchiante superiorità di mezzi e di uomini dei Paesi dell’Intesa, seguita dall’implosione dell’Impero, permise all’Italia di entrare a Trieste ed occuparla quale preda bellica.

E per Trieste l’incubo si materializzò subito con la dura repressione del Regio Esercito Italiano che avviò la caccia ai “filo austriaci”: che in una città portuale e multietnica unita per oltre mezzo millennio alla Corona d’Austria voleva dire perseguitarne tutti gli abitanti.

Il compito di avviare questa prima pulizia etnica fu affidato allo speciale Ufficio I.T.O. (Ufficio Informazioni Truppe Operanti – Servizio I dell’Esercito) del Regio Governatorato della Venezia Giulia che già all’inizio di dicembre del 1918 presentò una prima lista di proscrizione.

Questa prima lista del 1.12.1918 era un elenco dei cittadini “nati in territorio dentro la linea di armistizio o residenti in esso prima del 1914 per i quali tutta la cittadinanza reclama l’allontanamento od arresto, dato i loro pessimi precedenti e l’impossibilità che possano diventare buoni italiani in territorio redento”. Così il testo del provvedimento con cui si decretava la morte civile per centinaia di cittadini ritenuti filo austriaci e la cui unica colpa era di essere stati fedeli alla propria Nazione: l’Impero austroungarico.

Nella città fedelissima di Trieste, la “Urbs Fidelissima” alla monarchia asburgica, i casi di attaccamento all’Austria, che per l’I.T.O. significava automaticamente “infedeltà” all’Italia occupatrice dei Savoia, erano elevati; qui tutti avevano servito, tranne le poche eccezioni dei “volontari irredentisti” nell’esercito austroungarico combattendo su tutti i fronti del conflitto, incluso quello aperto nel 1915 con il Regno d’Italia, e quindi si preferì agire selezionando le vittime per dare un esempio al popolo che si stava cercando di sottomettere con la forza delle armi.

A venire colpite furono così principalmente le organizzazioni patriottiche di cittadini schierate con l’Austria e i funzionari pubblici che avevano servito lealmente il loro Paese.

Così finirono sotto la mannaia dell’I.T.O. Riccardo Colledani, Rodolfo Stark, Guglielmo Dabiani, Enrico Kunstel, Augusto Pelszeghi, Romano Saris, Guglielmo Todeschini, Francesco Schnorr, Adolfo Mosettig, Carlo Mosettig, definiti i “capibanda delle devastazioni e saccheggi degli italiani avvenuti il 23 maggio del 1915. Spie provocatrici, insultatori di tutto quanto aveva d’italiano. Accusatori degli impiegati di sentimenti italiani”.

Si tratta di alcuni dei tanti cittadini che il 23 maggio del 1915, alla dichiarazione di guerra italiana contro l’alleato Impero austroungarico, manifestarono contro la traditrice Italia e incendiarono la sede del giornale irredentista italiano Il Piccolo.

Rodolfo De Struppi, Augusto Proft, Carlo Furlan, Carlo Meclanuch, Marcello Cuschian, Enrico Cergnigei, Augusto Cegnar, Michele Mrecch, Otto Klenovar, Antonio Verdier, vennero accusati di essere invece “Capi notissimi della famosa Lega Patriottica della Gioventù Triestina organizzazione battagliera degli austriacanti a Trieste”.

E l’epurazione decapitò anche i vertici della polizia di Trieste: Arturo Sterling, Francesco Ghersina, Antonio Paolettich, Rinaldo Kurzemann, Giuseppe Mlekus, il capitano Horatceck, Carlo Tomadin, tutti definiti “Vecchi arnesi di polizia. Feroci aguzzini degli italiani”.

E la vendetta italiana non risparmiò nemmeno quei cittadini che avevano dimostrato con troppo entusiasmo il loro attaccamento all’Austria, ovvero alla loro Patria.

Tra i tanti, Giuseppe Domines titolare del buffet di Via San Nicolò 11 fu ritenuto “reo” di essere stato il secondo a salire sul monumento a Giuseppe Verdi (in Piazza San Giovanni) e di averlo sfregiato.

Per Rodolfo Schuckar e Francesco Schneider l’accusa era di essere “germanici, provocatori che offendevano nel modo più triviale ed in ogni occasione tutti gli italiani che trovavano”.

Angelo Crivicic, Catterina Vucetic, Don Antonio Vascotto, Augusto Stecher, Davide Horn con la moglie, Ignazio Mlaner, erano imputati di avere “accusato molte persone di alto tradimento causandone l’internamento o l’incarcerazione”.

Pasquale Malvasia titolare dell’osteria in via Punta del Forno definita “postribolo” veniva indicato come “soggetto pericolosissimo, spione di polizia noto a tutti i buoni italiani”.

C’erano poi i “mangiaitaliani”; tra questi risultavano l’impiegato bancario Giuseppe Mattijevic (arrabbiatissimo mangiaitaliani, Croato, spione di polizia), il prof. Giuseppe Brumat (Mangiaitaliani, denunciatore di parecchi studenti che furono arrestati e internati) e il “terribile mangiaitaliani”, ufficiale di riserva della marina austriaca, Edmondo Kasseger.

E poi Giovanni Pizz e Ernesto Giosento, invece quali “riconoscitori e denunciatori del volontario irredento Cirillo, condannato a morte e poi graziato”, Giuseppe Magazzin proprietario dei “fogli volanti Triestini”, giornale satirico “che con immorali parole insultava Re, Esercito, Popolo italiano”, il “roianese” Nicolò Tossutti, cittadino italiano e internato per avere “chiesto ed ottenuto la sudditanza austriaca arruolandosi come volontario per combattere contro l’Italia” e Stefano Vucetic “riconoscitore e denunziatore di Nazario Sauro”.

Dopo questa prima ondata persecutoria, l’azione dell’I.T.O. si estese anche al resto del territorio del Litorale Austriaco, rinominato “Venezia Giulia”. Il 23.12.1918 vennero emesse le liste A e C. Nella lista A (distretti politici di Capodistria, Lussinpiccolo, Sesana, Gorizia) ricadevano “i cittadini per i quali tutta la cittadinanza reclama l’allontanamento dal posto dati i loro pessimi precedenti e l’impossibilità che possano diventare buoni italiani in territorio redento (se ne propone l’internamento)”.

A leggere le motivazioni frettolose della cancellazione dalla società civile per queste persone c’è da rabbrividire e da vergognarsi. Perché chi le proponeva si presentava come il “liberatore” da una tirannia, mentre era l’occupatore violento che stava instaurando un regime tirannico fortemente razziale in una terra dove i popoli avevano convissuto pacificamente per secoli all’ombra dell’equa, ordinata e tollerante amministrazione austriaca.

Le proposte di internamento nei confronti dei cittadini che secondo l’I.T.O. non potevano diventare “buoni italiani” erano anche qui basate su un sommario “capo di imputazione”, senza possibilità di difesa per gli accusati e solo sulla base della loro fedeltà all’Impero austroungarico di cui erano ancora cittadini.

Quali erano le imputazioni? Bastava essere un maestro come per il sig. Orel di Corte d’Isola (Capodistria) che era stato troppo filo austriaco nell’educazione data ai suoi allievi. Oppure un prete troppo fedele alla duplice monarchia come Don Nardnic parroco di Corte d’Isola accusato di essere  una delle “ex spie austriache”.

Come anche per Don Francesco Persic da Vrh definito: “fanatico e turbolento agitatore anti italiano. La censura postale ha manifestato un mese fa una cartolina nella quale egli manifestava i suoi sentimenti contrari al nuovo regime”.

Oppure come nel caso di Francesco Volarich giudice a Pinguente non affidabile per essersi espresso in termini sovversivi contro le truppe italiane che stavano entrando nel paese e quindi automaticamente un “fanatico agitatore” e capo del partito sovversivo jugoslavo.

L’ing. Renato Penso di Gorizia risultava “odiatore feroce degli italiani” ed ex spia austriaca, mentre Lucrezia Platzer di Gorizia era definita “spia austriaca rimasta a Gorizia dopo l’abbandono della città da parte delle nostre truppe, contrariamente agli ordini del comandante della piazza, generale Cattaneo, fornì all’esercito austriaco notizia sull’organizzazione dell’esercito italiano ed accusò cittadini goriziani di aver favorito il nemico, cagionando per tal modo gravissimi danni e persecuzioni ai cittadini italiani”.

Antonio Radlosivc detto Matezevic agricoltore di Unie veniva classificato “spia austriaca” (senza spiegazioni ulteriori).

Medved giudice di Sesana era invece un “Pericoloso agitatore” ed ex spia austriaca. “Il suo comportamento con gli ufficiali italiani indica l’incompatibilità della sua permanenza nella Venezia Giulia”.

Darinka Deglic di Neresine aveva la colpa di essere moglie di un ex gendarme, maestra pensionata, pericolosa agitatrice contro l’Italia.

E anche a Gorizia non poteva mancare la repressione nei confronti della pubblica sicurezza austriaca, e così per Augusto Bregant, Luigi Krapez, Carlo Grilanc, Giuseppe Rojec, Andrea Cehovin, Pietro Brisko, Edoardo Kosmina, Francesco Furlan, Francesco Saksida, Martino Duagar, Pietro Bressan, Antonio Krecic, Andrea Paulin, si apre la strada del confino.

Più fortunati gli iscritti nella lista C, l’elenco dei “cittadini non nati nel territorio occupato o non residenti in esso prima del 1914, per i quali è necessario provvedere all’invio fuori dalla linea di armistizio”.

Si trattava di cittadini austriaci venuti a Trieste durante la guerra e per i quali viene proposto l’allontanamento. Tra questi Simeone Pils da Unterchaid (Boemia) “di sentimenti tedeschi anti italiani irriducibili”.

È questa l’accusa principale rivolta a tutti i cittadini austriaci di ogni gruppo etnico: essere semplicemente “anti italiani” per avere combattuto contro l’Italia che il 24 maggio del 1915 aveva aggredito l’ex alleato in grave difficoltà sul fronte russo.

Segue poi l’elenco dei “cittadini nati in territorio dentro la linea di armistizio e residenti in esso prima del 1914 e per i quali è necessaria una severa sorveglianza”.

La “severa sorveglianza” può portare all’espulsione come nel caso di Francesco Rizzi di Muggia, ed è rivolta in particolare a controllare quelli che vengono definiti  “agitatori jugoslavi” e “sovversivi”. Sono queste le basi della futura aggressione alla Jugoslavia, uno dei nuovi Stati creati a seguito della dissoluzione dell’Impero austroungarico.

Ma questo era solo l’inizio della violenta persecuzione nazionalista italiana che aveva lo scopo dichiarato di cancellare da Trieste “redenta” ogni traccia e ricordo dell’Austria e della sua secolare storia plurinazionale.

Questa violenza si abbatté su migliaia di persone indifese che dovettero sottomettersi alle regole del nuovo “regime” tollerato purtroppo a livello internazionale.

Nel 1919 iniziava l’operazione di italianizzazione forzata dei nomi e dei toponimi  (incluse le grotte, sottratte alle associazioni austriache per essere messe sotto il controllo dei nuovi gruppi speleologici italiani: LINK) che sarebbe durata fino al 1945 che doveva completare questa pulizia etnica cancellando la stessa identità del popolo sottomesso. Per essere un “buon italiano” non si potevano avere nomi stranieri: e senza nome italiano non si aveva diritto a lavorare. Trieste perse così la sua anima, la sua storia, venendo sacrificata sull’altare del più becero nazionalismo di una delle peggiori dittature europee.

Arrivò poi l’ulteriore violenza del fascismo con le persecuzioni contro gli sloveni; seguirono le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei (LINK). E poi la seconda guerra mondiale, con l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia nel tentativo di spazzare via gli odiati slavi, e gli orrori che ne seguirono (LINK).

La “vera” liberazione di Trieste dall’Italia nazionalista, dal fascismo e dal nazismo, avvenne solo nel maggio del 1945. E a liberarla furono proprio quei partigiani jugoslavi, definiti sprezzantemente “banditi” dagli italiani e dai tedeschi, che erano i figli di quei soldati austroungarici che durante la Prima Guerra Mondiale avevano difeso Trieste, il “gioiello” multietnico di una Nazione plurinazionale, dall’aggressione dell’Italia.

Le prime liste di proscrizione italiane del dicembre del 1918 contro i cittadini del litorale austriaco (in formato PDF): LINK

Tratto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante

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