Trieste: sentenza politica del TAR appoggia speculazioni illecite contro il Porto Franco
4 agosto 2013: questo articolo è tratto dall’edizione in rete de La Voce di Trieste il quotidiano indipendente diretto Paolo G. Parovel: LINK.
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I link sono stati aggiunti da Trieste Libera come approfondimento.
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Trieste: sentenza politica del TAR appoggia speculazioni illecite contro il Porto Franco
Le nostre indagini e denunce sui malaffari e politica a Trieste sono puntata da oltre due anni anche sui meccanismi ed i sostenitori della più grossa speculazione edilizia ed immobiliare illecita mai tentata nella storia della città: l’eliminazione dell’intero Porto Franco Nord.
Quest’indagine ha già rilevato e denunciato anche inerzie giudiziarie locali anomale che favoriscono di fatto l’operazione speculativa illecita garantendole immunità abnormi. Ma da qualche settimana vi si sono aggiunte due linee di supporto giudiziario attivo ad una campagna di massima pressione politico-propagandistica con cui i fautori della speculazione tentano la forzatura illecita definitiva dei vincoli internazionali di porto franco sull’area.
La campagna punta perciò a tre obiettivi contemporaneamente: far credere lecita la loro speculazione, impadronirsi della presidenza dell’Autorità Portuale (APT) che gestisce il Porto Franco, e screditare l’autonomo Movimento Trieste Libera che lo difende anche nelle sedi internazionali.
L’assalto alla presidenza usa tecniche ovvie di diffamazione. Screditare un forte movimento politico legalitario e spontaneo è invece più difficile, ma lo è ancor di più far passare per legittima una speculazione predatoria illecita e colossale.
Ed è proprio su queste due difficoltà principali che hanno ricevuto subito due sostegni giudiziari anomali: uno in sede penale e l’altro amministrativa. Ambedue perciò da indagare.
Il primo è un pesante attacco repressivo e minaccioso del magistrato penale Gullotta e del Pm Frezza contro Trieste Libera ed i suoi aderenti, in piena sinergìa mediatica col Piccolo sulla falsariga degli attacchi dei politici. Alle nostre nostre indagini e denunce già pubblicate qui rimane però da aggiungere che hanno agito in assenza dei titolari dei vertici locali della magistratura penale e della Procura.
Il secondo sostegno è arrivato contemporaneamente con la sentenza del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) che ha respinto il ricorso di Portocittà contro l’APT per l’illecita seconda concessione speculativa fallita sul Porto Franco Nord.
Era un ricorso fuori termine di legge, che il TAR doveva perciò respingere subito senza trattazione. Invece l’ha trattato, utilizzando politicamente la sentenza per costruire un abnorme apparato pseudo-giuridico che giustifichi ed assolva i fautori della speculazione illecita sull’area e persino i loro progetti ulteriori.
Appariva inoltre sospetto che costoro condividessero subito una sentenza appena depositata di 110 pagine, con la presidente regionale Serracchiani che ne elogiava addirittura la “grande dottrina”, e due settimane prima ne aveva pure anticipati due contenuti anomali.
Abbiamo messo subito la sentenza in analisi, con i risultati che abbiamo pubblicato il 20 luglio sul n. 29 della Voce a stampa: l’apparato “di grande dottrina” è invece radicalmente infondato e vuole consentire sia la speculazione in corso, sia riduzioni ulteriori del porto franco a Trieste per “estenderlo” ai porti italiani concorrenti, sino a Venezia. Uno scandalo dunque giuridico e politico.
Stiamo valutando tutte le azioni difensive necessarie, dalle denunce ai ricorsi anche in sede internazionale. E perché la materia sia universalmente nota e chiara mettiamo qui di seguito rete anche la nostra analisi già pubblicata a stampa. Buona lettura.
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L’analisi della Voce: una sentenza scandalosa.
La Prima Sezione del TAR-Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli Venezia Giulia ha respinto con sentenza depositata il 15.7.2013 il ricorso azionato in marzo dalla Portocittà S.p.A. contro l’APT-Autorità Portuale di Trieste sulla nota concessione del Porto Franco Nord.
La sentenza è scandalosamente fondata su travisamenti giuridici radicali, lede i diritti ed interessi legittimi dei cittadini di Trieste, copre gravi responsabilità penali di noti settori della “casta” politica locale (che se ne sta sconciamente vantando col Piccolo) e consentirebbe loro non solo qualsiasi mutilazione del Porto Franco internazionale di Trieste, ma anche di trasferirlo a Monfalcone, Cervignano ed oltre: Venezia inclusa.
È un tentativo di rapina che non è stato mai osato neppure dal regime fascista, supera ogni limite di tolleranza e verrà denunciato anche direttamente alle sedi di garanzia internazionali ed alle stesse autorità giurisdizionali italiane coinvolte.
1. Il contesto generale: fatti ed obiettivi.
La vicenda è paradossale quanto scandalosa, va dunque ben oltre l’episodio Portocittà e minaccia come mai prima le sorti concrete del lavoro e dell’economia di Trieste. Ma politici e Piccolo vi nascondono anche quest’operazione fraudolenta ed illegale. Vi dobbiamo dare perciò noi un’analisi più chiara e completa possibile del problema e del documento del TAR, anche se occorrerà molta attenzione e pazienza per leggerla ed assimilarla.
Come i lettori della Voce sanno, uno schieramento di porti, politici e partiti italiani attualmente capeggiato da Venezia e dal PD sta lavorando da anni, con la collaborazione dei suoi rappresentanti locali e la copertura totale del quotidiano Il Piccolo (del gruppo l’Espresso che ne affidata la linea ad ambienti industriali veneti) per deviare i traffici europei di Trieste, Koper e Rijeka su Venezia stessa e su altri porti della penisola italiana, sino alla Puglia e Calabria (Brindisi e Gioia Tauro).
In quest’operazione i gruppi agenti tentano anche di neutralizzare il Porto Franco internazionale di Trieste bloccandone il settore sud con un rigassificatore, e quello nord consegnandolo, dopo averlo svuotato apposta, a speculazioni edilizie ed immobiliari (non senza di ombre di mafia e con la partecipazione accertata di soggetti connessi alle reti di malaffare riferite ad Angelo Balducci, Luigi Bisignani ed altri) attraverso tentativi di concessione per usi non portuali avviati sin dalla presidenza Maresca (1999-2003) dell’APT.
2. La concessione abnorme a Portocittà.
Il 25 novembre 2010 l’allora presidente in scadenza dell’Autorità Portuale, Claudio Boniciolli (area Pd), è riuscito a concedere per addirittura 70 anni buona parte del Porto Franco Nord, per attività diverse da quelle di Porto Franco, all’apposita Portocittà S.r.l., con soci principali le grosse imprese di costruzione Maltauro e Rizzani de Eccher, già introdotte in appalti finalizzati nell’area.
L’atto di concessione risultava stranamente privo sia delle informazioni antimafia dovute dall’allora Prefetto, sia di qualsiasi menzione dei vincoli ostativi internazionali di Porto Franco sull’area. Benché concretati anche in natura dall’apposita cinta doganale completa e vigilata, e riconosciuti separatamente mesi prima dal concessionario stesso con una dichiarazione firmata.
La gara di concessione era stata inoltre turbata dall’allora sindaco Dipiazza, fautore dell’urbanizzazione illegale, che aveva minacciato pubblicamente ritorsioni illecite del Comune se la concessione fosse andata invece dal progetto di riuso portuale proposto dagli spedizionieri (Il Piccolo, 05.11.2008). Ma non risulta nemmeno indagato.
In seguito lo stesso Boniciolli ha inoltre dichiarato pubblicamente (Il Piccolo 25.11.2012) che tra lui ed il concorrente Portocittà vi erano patti preliminari esclusivi e segreti d’impegno, anche con terzi, a rimuovere successivamente il vincolo internazionale di Porto Franco.
Ha infatti confermato che le parti − come ovvio − erano al corrente del vincolo, ma «era inteso che via via si sarebbe spostato, come serviva» ad opera del Prefetto in carica e d’intesa con l’Autorità Portuale (Boniciolli stesso, se riconfermato) ed il Comune, retto dal sindaco Dipiazza (Pdl) cui è succeduto l’attuale Roberto Cosolini (Pd), sostenitore ancor più accanito dell’operazione speculativa illecita.
Sono tutti enti e soggetti che in realtà non potevano rimuovere o modificare legittimamente quel vincolo di diritto internazionale, mentre quei patti esclusivi con un concorrente possono avere costituito anch’essi turbativa della gara di concessione, e coinvolgendo più parti pubbliche e private potrebbero rientrare anche in ipotesi penali di associazione per delinquere, e di sostanziale corruzione.
Anche perché sono patti hanno poi avuto attuazione puntuale, poiché alla concessione venne fatta seguire una martellante operazione politico-propagandistica per “sfondare” illecitamente la cinta doganale, che venne effettivamente aperto con coperture attive e passive dello stesso Prefetto, del Comune, di altri enti locali e persino con avallo pubblico della Procura e del Tribunale.
Abbiamo perciò denunciato documentatamente il tutto per competenza di merito alla Procura di Roma, con successive integrazioni, nelle ipotesi principali di truffa pluriaggravata allo Stato ed a terzi in violazione di vincoli di diritto internazionale, violazione penale della Legge n. 17/1982 e turbative di gare di concessione.
3. Il ricorso di Portocittà.
Ma le grandi imprese edili sono spesso soltanto grosse partite di giro di finanziamenti e subappalti, che impiegano perciò prevalentemente mezzi non propri e tendono anche a sostenere un’opera con finanziamenti ottenuti quella successiva. Comunque sia, Portocittà S.p.A. risulterebbe essersi trovata verso la fine del 2012 senza finanziamenti adeguati per l’urbanizzazione già illegittima del Porto Franco Nord, e quindi nell’impossibilità di eseguirne le opere.
La società ha però azionato egualmente nei confronti dell’APT la clausola contrattuale di consegna entro il 1° marzo 2013 delle ultime aree da sgomberare dalle imprese produttive esistenti. Sotto minaccia di una forte penale che per la ristrettezza dei tempi di sgombero la società contava evidentemente di poter così incassare. Con sforzo concorde straordinario l’APT (con la nuova presidente Monassi) e le imprese sono riuscite egualmente a rispettare il termine per la consegna, alla quale Portocittà non ci risulterebbe però essersi presentata.
Portocittà S.p.A aveva predisposto contemporaneamente (in contraddizione evidente con la richiesta di consegna delle aree) e depositato con data del 28.2.2013 a firma dell’amministratore delegato Enrico Maltauro, un ricorso al TAR per denunciare illegittima e nulla la concessione per impossibilità giuridica originaria, obiettiva ed assoluta del suo oggetto, in sostanza l’urbanizzazione, perché incompatibile con le norme imperative di legge che vincolano l’area all’uso esclusivo di Porto Franco. Riconoscendole costituite dall’obbligo internazionale assunto dal Governo italiano con il Memorandum di Londra del 1954 di mantenere il Porto Franco di Trieste secondo le disposizioni degli articoli da 1 a 20 dell’Allegato VIII del Trattato di Pace di Parigi.
L’allora presidente APT Boniciolli non aveva quindi il potere di rimuovere i vincoli giuridici internazionali dell’area che impediscono l’esercizio della concessione per usi differenti da quelli commerciali, marittimi ed industriali specifici del Porto Franco. Portocittà S.p.A. ha chiesto perciò che il TAR dichiari nulla ab origine la concessione e condanni l’APT (ora presieduta da Monassi) a rimborsarle i canoni già versati e le spese già sostenute, oltre a quelle del giudizio.
Il caso era in sé abbastanza semplice, poiché la nullità della concessione per i motivi impugnati era ed è palese, ma il fatto ovvio che i soci e rappresentanti di Portocittà S.r.l. (già concorrenti quale Associazione Temporanea di Imprese) fossero consapevoli dei vincoli già prima della stipula della concessione esclude che abbiano anche diritto ai risarcimenti richiesti (art. 1227 c.c.). Mentre la presa d’atto del loro riconoscimento spontaneo di nullità della concessione per illegittimità degli scopi annulla anche il loro diritto ad occupare l’area in buona fede. Il ricorso presentava inoltre inammissibilità eccepite dalle difese dell’APT o rilevabili d’ufficio quali motivi preliminari di decadenza.
Inammissibilità del ricorso ed oggetto di causa avrebbero dovuto dunque escludere che si dovessero affrontare, e tantomeno dirimere, le note questioni di diritto internazionale sull’amministrazione fiduciaria del Governo italiano, la sovranità e la giurisdizione sul Territorio Libero ed il Porto Franco internazionale di Trieste, che appaiono inoltre ben fuori competenza di un Tribunale Amministrativo Regionale italiano.
4. Le implicazioni penali per la “casta”.
Ma il riconoscimento nel giudizio amministrativo dei motivi di nullità piani ed evidenti della concessione infine denunciati dalla stessa società concessionaria aprirebbe anche ipotesi penali conseguenti.
Quelle a carico dei sottoscrittori consapevoli, pubblico e privato, di un atto illecito perché lesivo di un bene giuridico e materiale pubblico vincolato − il Porto Franco internazionale di Trieste − ed in capo ad altri amministratori pubblici ed esponenti politici ed istituzionali che abbiano favorito o non impedito il fatto. Tutti già inclusi nella nostra denuncia penale alla Procura di Roma. Mentre la valutazione di coinvolgimenti attivi e passivi del Tribunale e della Procura di Trieste compete alla Procura di Bologna.
La parte privata è costituita principalmente da due delle maggiori imprese di costruzioni italiane, Maltauro e Rizzani De Eccher. E sono di primo piano anche i membri locali coinvolti della “casta” politico-istituzionale italiana: l’ex Presidente dell’APT Claudio Boniciolli (Pd, ex Psi, già presidente del Porto di Venezia), l’ex sindaco di Trieste Roberto Dipiazza (Pdl), l’attuale sindaco Roberto Cosolini (Pd, ex PCI), gli ex parlamentari Roberto Antonione (ex Pdl, ex LpT) e Roberto Menia (Fli, ex AN), il riconfermato Ettore Rosato (Pd, ex DC), un Prefetto e quant’altri, con abnormi complicità propagandistiche e disinformative del quotidiano del gruppo Espresso Il Piccolo sotto la direzione di Paolo Possamai (già direttore di La Nuova Venezia e Mestre).
E quasi tutti costoro di fronte alla desistenza e denuncia di Portocittà, invece di desistere anch’essi dalle pretese di urbanizzazione e sdemanializzazione speculativa illecita del Porto Franco Nord le hanno intensificate freneticamente, con l’appoggio anche di Debora Serracchiani, allora europarlamentare e candidata presidente della Regione per il Pd. Riscatenandosi pure in accuse infondate contro la presidente attuale dell’APT, Marina Monassi, per tentare di sostituirla con persona che favorisca l’operazione a danno del Porto Franco Nord. Che il Comune ha anche inserito illecitamente nella viabilità urbana con un nuovo Piano del Traffico, approvato poco prima del deposito della sentenza del TAR qui in esame.
Annunciando in marzo la causa al TAR di Portocittà la Voce (n. 21: analisi a pag 1, integrazione denuncia penale Procura Roma a pag. 3) aveva ringraziato, paradossalmente, Enrico Maltauro per avere confermato, anche se nel proprio interesse, che sul Porto Franco avevamo ragione noi, e per avere attivato sedi giudiziarie che così avrebbero potuto e dovuto fare finalmente chiarezza definitiva su questo scandalo abnorme ed sempre più evidente.
E questa è la sola cosa sulla quale ci siamo sbagliati, perché è stato, in sostanza, coperto con una sentenza non meno abnorme, che i beneficati stanno già usando sfacciatamente per i loro scopi. Anche se è tutt’altro che definitiva della questione.
5. La struttura della sentenza abnorme.
La sentenza, che dal documento risulterebbe opera esclusiva del Presidente (Umberto Zuballi) del collegio giudicante, formato anche da altri due magistrati, non è di facile lettura ed analisi perché è stata estesa in 51capitoli su 110 pagine per 194mila battute, includendo una quantità di elementi ultronei o comunque non necessari, ripetizioni, riferimenti generici e frasi apodittiche o meramente suggestive, anche con toni di sapore nettamente politico.
Le parti rilevanti sono comunque tre, e la prima riguarda le eccezioni preliminari di procedibilità ed ammissibilità. Delle altre due, parzialmente intrecciate, la più limitata è quella pratica essenziale alla soluzione della causa, cioè del quesito reale del procedimento.
Mentre la parte teorica con pretesa dottrinale, estesa invece oltre ogni economia di argomentazione, vorrebbe fornire una summa interpretativa personalistica stroncante dei noti quesiti giuridici e politici sul Territorio Libero ed il Porto Franco internazionale di Trieste. Legittimando e persino indirizzando le operazioni politico-amministrative di urbanizzazione illegittima del Porto Franco Nord che potrebbero invece portare all’incriminazione dei firmatari della concessione denunciata illecita e dei corresponsabili. Ed affermando, per contro, l’estensibilità nella Regione del regime di Porto Franco così ridotto a Trieste!
6. L’esame delle eccezioni.
In via preliminare, la sentenza non registra inammissibilità ed improcedibilità rilevabili d’ufficio e respinge quelle eccepite dalla difesa dell’APT, che avrebbero di per sé annullato il ricorso di Portocittà impedendo al TAR di trattare la materia come detto.
In particolare, osserviamo che il ricorso è stato azionato dalla Portocittà S.p.A. affermando che la concessione sarebbe stata assegnata ad essa. Mentre risulta assegnata alla precedente Portocittà S.r.l. e nell’atto non troviamo menzionata né provata con documenti allegati la successione nel titolo tra le due differenti società.
L’APT aveva inoltre eccepito tardività della domanda poiché proposta da Portocittà oltre il termine di decadenza dei 180 giorni dalla conoscenza della causa di nullità (art. 31, comma quattro del codice del processo amministrativo), cioè dei vincoli di Porto Franco, avvenuta ovviamente prima della firma stessa della concessione.
Ma il TAR ha respinto l’eccezione anche con l’affermazione inverosimile che Portocittà avrebbe appreso del vincolo soltanto «quando in concreto, nell’iniziare l’edificazione degli edifici e delle opere assentiti, si è accorta dei controlli agli accessi al Porto franco». Come se prima la cinta doganale ed i valichi vigilati fossero lì per altro.
7. Il dispositivo della sentenza.
Quanto alla parte pratica, la sentenza respinge la richiesta di dichiarare nullità originaria della concessione, afferma che il regime di porto franco non impedisce la realizzazione delle opere perché potrebbe essere modificato ad hoc su iniziativa dell’APT con decreto del Commissario del Governo, suggerisce a Portocittà ed APT la risoluzione o la modifica esecutiva consensuali della concessione, e compensa le spese tra le parti.
Col risultato collaterale evidente di sgravare dalle responsabilità penali tutti i responsabili politici, istituzionali e privati della concessione in realtà illegittima, di impedire che l’APT, od altri che vi abbiano interesse legittimo, si rivalgano dei danni al bene pubblico su di essi, a cominciare dall’ex presidente Boniciolli, e di dare legittimazione apparente all’urbanizzazione speculativa illecita del Porto Franco Nord.
Ma non solo, perché a scopi ancor più palesemente estranei al quesito di causa, e con ovvi effetti politici, la sentenza afferma pure che il regime del Punto Franco internazionale oltre a poter essere ridotto a Trieste potrebbe venire esteso con decreto ministeriale a siti costieri e terrestri del Goriziano e del Friuli, come Monfalcone, Cervignano ed oltre. E suggerisce che manchi ancora un organismo di coordinamento adeguato degli enti locali e regionali interessati.
8. Fonti e contraddizioni.
La fonte giuridica apparente di queste tesi sono le apposite interpretazioni abnormi dei vincoli di diritto internazionale che la sentenza fornisce nella sua parte “dottrinale” per sostenere che il Porto Franco sarebbe, assieme al resto della “Zona A” del Territorio Libero di Trieste, sotto piena sovranità dello Stato italiano i cui obblighi di gestione dei vincoli specifici sarebbero elastici e discrezionali anche per le aree dove sono espressamente stabiliti dagli accordi internazionali, come appunto per il Porto Franco Nord.
Ma l’arbitrarietà e contraddittorietà delle sentenza emerge egualmente ai suoi punti 47, 47.1, 49.6 dove riconosce i limiti dell’asserita elasticità e discrezionalità affermando illegittima ed improponibile una concessione che abbia per oggetto opere ed attività che non completino ma sostituiscano quelle di Porto Franco (marittime, commerciali, industriali), nullificandole. Qual’è appunto la concessione che si sta valutando.
Che dovrebbe perciò venire annullata anche per questo solo aspetto riconosciuto idoneo e sufficiente nella stessa sentenza. Dove viene invece pretermesso dal TAR con la motivazione che non risulta espressamente proposto dalle parti. Mentre avrebbe dovuto, secondo noi, introdurlo e valutarlo d’ufficio ex art. 1421 c.c. quale consecutio logica (così invece troncata) delle proprie altre argomentazioni sui vincoli di Porto Franco.
9. La parte teorica.
La prolissità e gli intrecci della parte teorica che la sentenza estende diffusamente al diritto internazionale ne rendono molto più complessa l’analisi, e meno evidenti le abnormità. Per chiarirle vi dobbiamo perciò proporre una sintesi di confronto della situazione giuridica affermata in sentenza, ed infondata, con quella reale. Limitandoci alle interpretazioni falsate od errate fondamentali, che come tali invalidano e travolgono di per sé l’intero impianto della sentenza, a prescindere da quelle minori, derivate o marginali, la cui analisi richiederebbe decine di pagine.
Aggiornamento: nel 2016, la Law Commission della I.P.R. F.T.T. – International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste, la rappresentanza di Stato provvisoria del Territorio Libero, ha pubblicato una expertise che descrive lo status dell’attuale Free Territory e del suo porto franco internazionale in modo preciso e accurato. Contestualmente, lo studio confuta nel dettaglio la sentenza TAR FVG 400/2013 e la successiva sentenza gemella 530/2013. Il documento: LINK
9.1. Il presupposto della sovranità italiana.
L’intera sentenza appare incardinata (e quindi interamente caducabile) sul presupposto della sovranità italiana sulla Zona A del Territorio Libero di Trieste e sul suo Porto Franco internazionale, dalla quale discenderebbero tutti i poteri attribuiti dalla decisione ad Organi dello Stato italiano, e la stessa giurisdizione del TAR (che risulta così auto-affermata), altrimenti privi di titolo.
Il presupposto viene sostenuto con le affermazioni così riassumibili:
a) che il Territorio Libero di Trieste sarebbe inesistente quale Stato sovrano, perché perché mai costituito;
b) che il Governo Militare Alleato fosse soltanto un occupante militare de facto;§
c) che il Memorandum di Londra del 1954 sia un trattato che ha abrogato le norme del Trattato di Pace del 1947 costituenti il TLT riconoscendole impossibili da attuare, in base al principio internazionale c.d. “rebus sic stantibus” ed ha fissato i confini tra gli Stati italiano e jugoslavo assegnando la “Zona A” allo Stato italiano e la “Zona B” allo Stato jugoslavo;§§
d) che tali confini siano stati validamente confermati dal Trattato italo-jugoslavo di Osimo, da atti interni dello Stato italiano, tra i quali la legge costituzionale che ha istituito la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, e da atti della Comunità Europea;
e) che l’ordinamento italiano e comunitario sia perciò direttamente ed incondizionatamente esteso ed operante sul territorio così acquisito.
Gli assunti sono tutti e cinque falsi perché, come dal documento di sintesi giuridica completa che abbiamo già pubblicato sul n. 27 della Voce, il Territorio Libero di Trieste ha piena esistenza giuridica di Stato membro delle Nazioni Unite sotto amministrazione provvisoria civile del Governo (e non dello Stato) italiano su apposito mandato fiduciario internazionale che prevede e regola esattamente tale regime di governo provvisorio.
Le simulazioni di sovranità italiana sono violazioni sia del diritto internazionale che dell’ordinamento costituzionale italiano. Il fatto che vengano sostenute da organi giurisdizionali italiani è pertanto di estrema gravità per la loro posizione.
NOTA: la suddetta sintesi giuridica è stata redatta nel 2013. Da allora, gli studi legali del Movimento Trieste Libera hanno rivelato molti altri aspetti della questione del Territorio Libero di Trieste, in particolare sul ruolo della Regione Friuli Venezia Giulia e sui poteri del Commissario Generale.
Nel 2017, la Law Commission della I.P.R. F.T.T. – International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste, la rappresentanza di Stato provvisoria del Territorio Libero, ha pubblicato una expertise che descrive il corpus normativo di diritto italiano che ratifica ed esegue gli obblighi giuridici internazionali della Repubblica Italiana e del Governo italiano verso l’attuale Free Territory of Trieste e quelli connessi verso gli altri Stati e verso le Nazioni Unite. Il documento: LINK.
9.2. Presunta discrezionalità italiana negli obblighi di mantenere il Porto Franco.
La sentenza afferma che l’impegno imposto dal Memorandum di Londra al Governo italiano di mantenere il Porto Franco internazionale di Trieste “in general accordance”, con gli articoli da 1 a 20 dell’Allegato VIII del Trattato di Pace li riduca a meri principi generali da applicare con discrezionalità incondizionata ed in relazione alle leggi ed agli interessi dello Stato italiano.
L’assunto non è vero, poiché nella frase l’aggettivo “general” non è riduttivo ma rafforzativo di “accordance”; “in general accordance” si traduce perciò con “in ottemperanza” (cfr. traduzione asseverata del Tribunale di Trieste, procedim. Pen. 854/10). Ed anche in caso contrario ogni discrezionalità applicativa rimane vincolata alla natura ed agli scopi del titolo di amministrazione civile provvisoria del Territorio Libero di Trieste, e non dello Stato italiano.
9.3. Presunta modificabilità delle aree di Porto Franco vincolate.
La sentenza afferma che tutte le aree del Porto Franco Internazionale di Trieste sarebbero liberamente modificabili (per riduzione, sospensione, spostamento) su richiesta dell’Autorità Portuale e con decreto del Commissario di Governo. E cita surrettiziamente e prova di ciò sia modifiche già avvenute su aree di ampliamento non vincolate dagli strumenti internazionali perché successive, sia i provvedimenti commissariali illegittimi adottati da sul Porto Franco Nord (dai prefetti Balsamo e Giacchetti) per attuare la concessione illegittima che è oggetto di causa.
L’assunto non è vero (e le prove sono inconferenti) poiché gli strumenti internazionali vincolano tassativamente all’uso del Porto Franco i Punti Franchi delimitati nel 1939, quali sue aree ed attrezzature minime obbligate, proprio per impedire che licenze di modifica illimitate possano condurre a riduzioni eccessive od alla soppressione totale del Porto Franco.
9.4. Presunti poteri del Commissario di Governo presso la Regione.
La sentenza include tra i poteri amministrativi dell’attuale Commissario di Governo (omettendone ambiguamente più volte la specifica “nella Regione”) quale “organo dello Stato italiano” anche poteri normativi sul Porto Franco.
L’assunto non è vero, poiché si tratta di poteri che appartenevano al Commissario Generale di Governo per il Territorio di Trieste quale organo del Governo italiano in quanto amministratore civile provvisorio del Territorio Libero di Trieste. E con la cessazione di tale organo nel 1963 quei poteri sono perciò ricondotti al Governo italiano quale amministratore provvisorio, o ad organo che ne venga specificamente delegato a tale titolo.
9.5. Presunti poteri urbanistici del Comune e della Regione.
La sentenza afferma la legittimità giuridica di poteri urbanistici del Comune e della Regione nell’ambito territoriale del Porto Franco di Trieste.
L’assunto non è vero, poiché tali poteri promanano da sovrapposizioni dell’ordinamento dello Stato italiano, che come tale non può avere nel Territorio Libero amministrato applicazione legittima diretta, né estensione che sia in contrasto con l’ottemperanza delle norme dell’allegato VIII al Trattato di Pace. Che prevedono la concentrazione di tutti i poteri di amministrazione del Porto Franco in un ente unico, la cui funzione esclusiva può essere perciò delegata ad ente adatto dell’amministrazione provvisoria (come l’Autorità Portuale) ma non frammentata.
Nota: la premessa di cui sopra è corretta, ma le conclusioni sono incomplete. Per i dovuti dettagli sull’evoluzione del ruolo del Commissario Generale in Commissario del Governo nella Regione consigliamo di consultare il punto G.3 della rassegna normativa citata in epigrafe.
9.6. Asserita mancanza di una funzione di coordinamento degli enti coinvolti nelle attività del Porto Franco.
La sentenza lascia intendere ai suoi punti 44, 44.1 e 50,1 che manchi una funzione efficace di coordinamento degli enti pubblici e privati coinvolti nelle attività del Porto Franco.
L’assunto non è vero, poiché tale funzione è già garantita dall’apposito Comitato Portuale in seno all’APT dove essi sono in tal modo tutti rappresentati con funzioni sia consultive che decisionali.
9.7. Asserita estensibilità regime di Porto Franco di Trieste al Goriziano ed al Friuli.
La sentenza afferma al suo punto 43.6 che «nulla vieta poi di ampliare il porto franco anche in altre zone della Regione diverse dalla Provincia di Trieste, come ad esempio Monfalcone o Cervignano», con decreto ministeriale invece che commissariale, ed al punto 43.5 formula un criterio giustificativo di “collegamento funzionale con il porto di Trieste”.
L’assunto è falso, poiché lo vietano sia la natura delle norme di diritto internazionale che assegnano e limitano i privilegi di Porto Franco al Territorio Libero di Trieste, che come tale non fa parte del territorio nazionale italiano, sia le norme comunitarie europee cui il territorio italiano è invece sottoposto. Si tratterebbe perciò di una forma di predazione illecita e gravissima da parte del Governo amministratore e di un Paese terzo, a danno del Territorio Libero amministrato.
9.8. Estensibilità implicita al Veneto.
La sentenza prevede l’estensibilità per decreto ministeriale del regime del Porto Franco di Trieste ad aree funzionalmente collegate, ma non vincola ad alcun limite giuridico espresso il proprio riferimento nel testo alla sola Regione Friuli Venezia Giulia, che rimane puramente discorsivo. E perciò non esclude, ma introduce, l’estensibilità anche ad altre aree portuali e d’entroterra del territorio nazionale considerabili come “funzionalmente” collegate a Trieste.
Quali potranno essere sia quelle di Porto Nogaro che quelle del Veneto con il previsto spostamento del corridoio Baltico-Adriatico dal percorso Graz-Lubiana-Trieste-Koper al percorso Graz-Klagenfurt-Tarvisio-Udine (Monfalcone, Trieste, Porto Nogaro) – Venezia. Ed è solo in questo caso acquista significato l’ipotesi di un organo di coordinamento degli enti diverso dall’APT.
10. Anticipazioni della presidente regionale Seracchiani.
Nelle settimane precedenti il deposito della sentenza l’attuale Presidente della Regione Debora Serracchiani ha sorprendentemente anticipato in pubblici convegni due tesi che trovano sinora appoggio e conferma solo nell’impianto della sentenza depositata dopo: l’asserita facoltà di spostare o ridurre il Porto Franco con decreto commissariale d’iniziativa dell’APT, e la creazione di una nuova Agenzia di coordinamento degli enti pubblici diversa dal Comitato Portuale dell’APT.
E ci sembra altrettanto sorprendente che la stessa Serracchiani, essendo avvocato, abbia dichiarato alla stampa che la voluminosa sentenza è “di grande dottrina” immediatamente dopo il deposito. Cioè quando nessuno, fuorché i giudici, ne avrebbe ancora dovuti e potuti conoscere e valutare a sufficienza i contenuti.
Concludiamo perciò quest’analisi chiedendo spiegazioni almeno su questo anche a Serracchiani oltre che alle Autorità di garanzia cui segnaleremo l’intera vicenda, che riteniamo assolutamente inaccettabile e scandalosa.
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