Trieste Libera

NO AI TRIBUNALI SPECIALI ITALIANI NEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE

Aggiornamento: nel luglio 2017 il processo si è concluso. La manifestazione di Trieste Libera a difesa del Porto Franco internazionale non era eversiva.

Il timbro del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato che a Trieste durante il regime fascista fu responsabile di una dura repressione per estirpare le radici multietniche della città asburgica. Il Tribunale speciale ebbe il potere di diffidare, ammonire e condannare gli imputati politici ritenuti pericolosi per l'ordine pubblico e la sicurezza del regime stesso.

Il timbro del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato che a Trieste durante il regime fascista fu responsabile di una dura repressione per estirpare le radici multietniche della città asburgica. Il Tribunale speciale ebbe il potere di diffidare, ammonire e condannare gli imputati politici ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico e la sicurezza del regime stesso.

Lunedì 24 ottobre 2016 si è svolta la nuova udienza del processo ai 17 cittadini del Territorio Libero di Trieste accusati di avere partecipato ad una manifestazione a difesa dello status giuridico del Porto Franco internazionale di Trieste che non sarebbe stata autorizzata dalla Polizia italiana.

I fatti risalgono al 10 febbraio del 2014, quando centinaia di attivisti del Movimento Trieste Libera avevano manifestato pacificamente a difesa dei varchi del Porto Franco Nord.

L’apertura dei varchi serviva ad inglobare l’intero “Porto Vecchio” nell’area urbana previo trasferimento della proprietà. Un’operazione assolutamente fuorilegge. Il Porto Franco internazionale di Trieste un ente di Stato del Territorio Libero dal Trattato di Pace del 1947 e dalla Risoluzione S/RES/16 (1947) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Questo Porto Franco unico al mondo porto appartiene all’attuale Territorio Libero, affidato in amministrazione temporanea al Governo italiano che dal 1954 è responsabile della sua integrità su mandato internazionale. È assolutamente al di fuori della sovranità italiana.

Ma i rappresentanti del sistema di corruzione locale, ammantati di anacronistico nazionalismo, si fanno beffa dei Trattati. Proprio nel 2014 hanno ben pensato di tentare il colpo, annettersi l’intero Porto Vecchio, mettendo tutti di fronte al fatto compiuto: in pratica una violazione del Trattato di Pace imposta con la forza da rappresentati del Paese sconfitto.

Un progetto che serviva (oltre che ad annichilire economicamente l’attuale Territorio Libero di Trieste) da una parte a dare sfogo ad speculazione immobiliare in odor di mafia che distruggerebbe l’economia di Trieste (ne ho scritto in questo post), dall’altra a declassare il porto di Trieste deviandone il traffico verso i porti italiani dell’Adriatico (come ricordato da quest’analisi del giornale d’inchiesta La Voce di Trieste).

L’opposizione dei cittadini del Territorio Libero di Trieste contro queste manovre è stata determinante rendendo pubblica una situazione di massimo imbarazzo per le autorità italiane impegnate nel garantire questa colossale truffa ai danni dell’intera comunità internazionale.

E proprio quelle centinaia di persone che il 10 febbraio del 2014 si sono erette a difesa del Porto Vecchio, facendo scudo con i loro corpi all’aggressione nazionalista della “camorra” locale, sono state il primo argine contro l’arrogante prepotenza di uno Stato non abituato a fare i conti  con il proprio poco esaltante passato di dittatura mai convertita a reale democrazia.

Quei cittadini sono stati la prima diga di legalità contro la quale si sono infrante le ondate del sistema di corruttele italiano. Un esempio pericoloso che un regime antidemocratico non può tollerare. E quindi è ovviamente scattata la reazione affidata, come sempre accade in Italia, all’autorità giudiziaria per dare una parvenza di giustizia ad un atto di brutale repressione dei diritti civili.

Una repressione con caratteristiche prettamente eversive dello stesso ordinamento italiano, visto che i magistrati che agiscono contro gli indifesi cittadini non si fanno alcuno scrupolo nel vìolare le stesse leggi dello Stato italiano che dovrebbero rispettare a partire dalla sua Costituzione, che recepisce gli accordi internazionali.

Ecco perché siamo sotto processo, o meglio perché 19 persone si trovano sotto processo. Diciannove sulle centinaia che avevano manifestato pacificamente. Una sorta di “decimazione” decisa per non sollevare un polverone su una questione così delicata e scottante, dove di illegale c’è solo il comportamento delle autorità italiane, tutte.

Un processo punitivo “guidato” con un’abile strategia della tensione e militarizzato fin dall’inizio per intimidire i cittadini del Territorio Libero, con due degli indagati sottoposti a un giudizio separato, nonostante il capo di imputazione fosse lo stesso contestato agli altri 17, per consentirne così una rapida condanna preventiva che doveva servire ad influenzare il processo principale.

Metodi da Tribunali speciali utilizzati contro pacifici cittadini, di un altro Stato, in un’inversione preoccupante delle metaregole del diritto.

E lo si è visto anche lunedì 24, alla quinta udienza del processo con il quale l’Italia vorrebbe affermare i suoi metodi da Stato antidemocratico di polizia nel Territorio Libero di Trieste.

Le udienze vengono ormai sempre svolte al pomeriggio, quando il tribunale è vuoto, per rendere meno visibili gli effetti della protesta dei cittadini. Perché, intimidazioni o meno, a queste udienze partecipano decine di persone e i media, sotto controllo del regime, non devono nemmeno essere indotti a dare queste notizie. Silenzio assoluto quindi su un processo scomodo ai difensori del sistema delle illegalità.

Il clima è come al solito “pesante”. Per scoraggiare la gente ad assistere ad un processo che comunque è pubblico, le autorità italiche ce la mettono tutta. Al pomeriggio in tribunale si entra solo dall’accesso secondario, essendo chiuso quello principale. E questo è come solito blindato.

Chi vuole andare al processo deve passare per le forche caudine dei controlli incrociati di Carabinieri, Polizia, DIGOS (questi ultimi in borghese). Si entra solo con un pass dopo avere lasciato il proprio documento; io mi rifiuto di dare il mio essendo parte nel processo come imputato. Gli agenti mi lasciano passare ma lo fanno con imbarazzo.

L’udienza poi è ulteriormente blindata. Polizia e carabinieri dentro l’aula e in corridoio. Seguono le persone fino ai servizi igienici. Clima da anni di piombo. Ma qui gli unici intrusi sono loro che stanno dalla parte sbagliata essendo schierati a difesa di un sistema di governo perfettamente illegale.

Il giudice completa l’opera di demolizione dei diritti processuali comunicando che in aula udienze potranno entrare solo gli imputati. Il processo è pubblico e siffatta decisione autoritaria del muscoloso magistrato va contro la stessa regolarità del processo. Ma come discutere con poliziotti e Carabinieri armati che fronteggiano cittadini armati solo dal diritto?

Entro in aula, almeno io posso. Sono uno degli imputati. Forse pensano di avermi impressionato abbastanza con la loro esibizione di forza. Ma non è cosi. Prendo subito la parola, ora sono da solo a confrontarmi con il giudice. Gli chiedo di dimostrare in base a quale giurisdizione lui ci sta giudicando: è un giudice della Repubblica italiana (che qui non ha alcun potere), oppure con regolare mandato del Governo amministratore provvisorio del Territorio Libero?

Il Giudice mi interrompe più volte e cerca di togliermi la parola. Ma io vado avanti, non mi faccio impressionare e affermo l’illegittimità delle decisioni dell’autorità giudiziaria italiana e le falsificazioni del trattato di pace commesse dai magistrati italiani per simulare la sovranità dell’Italia sul Territorio Libero di Trieste.

Concludo il mio intervento dichiarando di non riconoscere la sua autorità e abbandono l’udienza seguito dagli altri imputati del Movimento Trieste Libera: non si cede.

Tradotto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante

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