DIETRO ALLE DISCARICHE DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE (PARTE 1)
C’è una “guerra” nascosta condotta contro l’attuale Territorio Libero di Trieste che continua a mietere giorno dopo giorno le sue vittime.
È quella contro l’ambiente: Trieste è stata utilizzata per decenni come discarica.
Nessuno ne parla perché si tratta di un’eredità pesante. Un crimine contro la natura violentata per ragioni di Stato. Un crimine contro una popolazione inerme, costretta a subire l’inquinamento portato dalle pubbliche amministrazioni e a pagarne le conseguenze.
Scavando nelle discariche disseminate in questo piccolo lembo di terra del Nord Adriatico, sepolto sotto le enormi masse di rifiuti delle mafie, si trovano ancora tante prove di questa aggressione. Il Territorio Libero di Trieste dato in amministrazione provvisoria al Governo italiano era uno Stato estero: non c’era motivo di curarsene, o di curare gli interessi della sua popolazione.
L’inquinamento ambientale pesa ora come un macigno nella partita aperta per il ripristino della legalità nell’attuale Territorio Libero. Qui sono concentrate la maggior parte delle discariche di rifiuti tossico nocivi frutto di traffici internazionali. Discariche che vanno dall’altopiano carsico al mare, investendo direttamente il Porto Franco internazionale di Trieste. Un grosso problema internazionale.
In effetti la linea di costa del Territorio Libero è costellata dalle discariche a mare e sottomarine che si estendono dal Porto Franco Nord al confine con la Slovenia.
Si tratta di una trentina di chilometri ad alto tasso di inquinamento. Inquinamento in gran parte sconosciuto.
Per intenderci qui è finito di tutto, dai fanghi industriali, alle ceneri pesanti e leggere, all’amianto, alle scorie radioattive, ai residuati bellici, bombe ed altri esplosivi, comprese armi chimiche.
Ma queste discariche, e i punti franchi del Porto di Trieste, erano anche comodi depositi di armi per operazioni speciali dei servizi italiani (e non solo) all’epoca della guerra fredda. Una guerra fredda che a Trieste non è mai finita.
Il Porto Franco internazionale è un ente di Stato del Territorio Libero di Trieste. Così stabiliscono la Risoluzione S/RES/16 (1947) ed il Trattato di Pace del 1947.
Se la responsabilità di questo disastro ambientale è senza difficoltà attribuibile ai funzionari locali del Governo amministratore, che avrebbero dovuto rispettare il loro mandato ed impedire il disastro ambientale, la soluzione è molto meno semplice.
Il Governo italiano dovrebbe fare causa ai suoi stessi funzionari? Come, considerando che essi violando paradossalmente la legge italiana dichiarano di agire nell’interesse dello Stato italiano? Un conflitto istituzionale irrisolvibile.
L’unica effettiva via d’uscita è un recupero ambientale imposto dalle Nazioni Unite e dai firmatari del Trattato di Pace. Ma per farlo è prima necessario ripristinare il corretto regime giuridico del Territorio Libero.
Il viaggio nel “sistema” delle discariche del Territorio Libero è un’immersione nella storia di questa terra martoriata, violentata nel suo diritto ad esistere, e nella attuale validità degli accordi internazionali seguiti alla seconda guerra mondiale. Ed è utile per capire che la soluzione di questo nuovo ma vecchio conflitto internazionale non può che passare per il rispetto dei principi sui quali si basa l’attuale ordinamento mondiale.
Tra le discariche costiere, quella di Barcola, certamente una delle più interessanti, è posta all’estremo margine settentrionale del Porto Franco Nord di Trieste (sotto il Faro della Vittoria). Oltre si trova l’altra grande area di discarica diventata poi la pineta di Barcola, principale area balneare di Trieste.
Questa è un’altra particolarità dell’innovativo “sistema Trieste”, che nulla ha da invidiare alla Campania o alla Somalia, pure loro sotto controllo delle criminalità organizzata di stampo mafioso: aree turistiche sopra le discariche di veleni.
Inutile dire che Trieste è ai vertici europei per tumori nella popolazione.
La discarica – terrapieno di Barcola si trova nel Porto Franco Nord, quello che i politici chiamano con disprezzo “porto vecchio” (per loro vecchio = inutile) e segna la linea di confine con la zona balneare di Barcola.
È stata utilizzata dal 1966 al 1989 come discarica comunale incontrollata ad occupare una superficie di circa 70.000 m2 con un volume di rifiuti di oltre 550.000 m3. Lo scarico dei rifiuti a mare avveniva senza alcuna barriera di contenimento (fatto comune a tutte le discariche costiere realizzate a Trieste) con una dispersione dei rifiuti che ha riguardato l’intero bacino del porto con estensione al Golfo di Trieste.
Tra i rifiuti accertati si trovano ceneri pesanti e leggere contenenti sostanza pericolose, miscele bituminose contenenti catrame di carbone, morchie depositate sul fondo di serbatoi.
E poi amianto, plastica, ferro e acciaio, cemento, assorbenti, materiali filtranti, stracci e indumenti protettivi contaminati da sostanze pericolose, segatura, legno, pannelli di truciolare e piallacci contenenti sostanze pericolose, terre e rocce contaminate, rifiuti urbani non differenziati, rifiuti misti dell’attività di costruzione demolizione, scorie di cemento, mattoni e ceramiche.
Elevati i livelli di policlorobifenili (PCB) nel terreno contaminato.
La discarica di Barcola è stata funzionale, nel suo lungo arco di vita, al mantenimento di un sistema di smaltimento rifiuti istituzionalizzato che vedeva i suoi punti di forza nel Carso triestino con le sue centinaia di doline, cave, e grotte, e nelle grandi discariche realizzate nelle vallate dei torrenti Rosandra e Ospo.
L’espansione a mare era l’ultima fase di questa operazione di saccheggio del territorio. Barcola era una specie di valvola di sfogo per la super produzione di rifiuti incontrollati che da ogni dove venivano scaricati nell’attuale Territorio Libero di Trieste.
Il terrapieno/discarica di Barcola per la sua posizione strategica era sotto controllo del Comando Militare Italiano del Nord Est e base dell’areonautica militare che vi manteneva una stazione permanente.
La possibilità di ulteriore ampliamento della discarica che avrebbe dovuto occupare una superficie tre volte superiore a quella attuale decadde alla fine all’inizio degli anni ’90, quando cominciavano ad addensarsi nubi minacciose sul disastro ambientale di Trieste.
Il recepimento delle leggi dell’Unione Europea rendeva ormai impossibile la continuazione di un’attività criminale come quella svolta per trent’anni indisturbata a Trieste.
Nella realizzazione di questo epocale disastro ambientale avevano avuto un ruolo di primo piano molte società pubbliche: IRI, Italsider, Italposte, e altre. Ma il mandante era sempre lo stesso: la “camorra” nazionalista locale.
Dove non potevano intervenire i pubblici si ricorreva direttamente alla criminalità organizzata: molto prima della Terra dei fuochi le mafie italiane avevano potuto fare pratica nel “libero” Territorio di Trieste.
Tratto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante
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ALTRI POST DELLA SERIE “DIETRO LE DISCARICHE DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE”:
1: INTRODUZIONE – Questo post
2: FERRIERA E DINTORNI – LINK
3: IL RUOLO DEGLI ORGANI DI INFORMAZIONE IN UN DISASTRO AMBIENTALE – LINK
4: LE RESPONSABILITÀ DELLE ISTITUZIONI – LINK
5: RIO OSPO E DINTORNI – LINK
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