IL CLAN. 23 febbraio 2014.
A Trieste è consolidato un sistema di malaffare che governa la città indisturbato dal lontano 1954 anno della disgraziata “seconda redenzione” di una città che dopo la seconda guerra mondiale sperava finalmente di potersi scrollare dal giogo italiano.
I primi venticinque anni di dominazione italiana erano stati contraddistinti dalla durezza assoluta del regime nazionalista fascista. E la città porto della Mitteleuropa era stata devastata dalla brutalità di una occupazione che ne aveva da subito cercato di spazzare le secolari radici multietniche.
Le leggi dello Stato italiano qui venivano fatte rispettare, con la violenza tipica di chi si considerava “razza superiore”, dai tribunali speciali. L’ordinamento italiano delle camorre integrato dalle leggi razziali sostituiva così quello ordinato e tollerante austriaco che per secoli aveva permesso lo sviluppo della città Stato di Trieste e del suo porto.
Dopo la cessazione della sovranità italiana su Trieste, durata 23 anni (1920 -1943), con la firma del trattato di pace avvenuta il 10 febbraio del 1947, la speranza dei triestini di potere finalmente liberarsi dal tallone italiano venne vanificata il 5 ottobre 1954 con il passaggio di consegne avvenuto tra il Governo Militare Alleato (G.M.A.) e quello italiano.
L’Italia non ha poteri su Trieste. È il suo Governo ad avere l’amministrazione provvisoria della Zona A del Territorio Libero affidata al proprio Governo. Eppure i suoi funzionari non persero tempo, simulando quasi immediatamente la sovranità italiana su Trieste. Vi imposero leggi incompatibili e calpestarono i diritti dei cittadini. Ma non si trattava più del Regno d’Italia. Questa era la neonata Repubblica italiana.
Nella sostanza però poco era cambiato. Per l’Italia fascista Trieste era il simbolo di una guerra vinta nel nome dell’irredentismo nazionalista; per l’Italia repubblicana Trieste era il simbolo dell’unità nazionale preservata nonostante la cocente sconfitta patita durante la seconda guerra mondiale.
L’Italia per mantenere Trieste sotto il suo controllo non aveva esitato ad impiegare ogni mezzo disponibile cercando di condizionare le scelte degli stessi Alleati. Durante il periodo del “risveglio democratico” del G.M.A. (1947-1954) a Trieste venne scaricata la feccia nazionalista italiana fatta di ex squadristi fuorilegge e di militari coperti dai “nuovi” servizi ancora sotto controllo del vecchio regime fascista.
Ingenti furono i fondi destinati alle operazioni di destabilizzazione nei confronti del nuovo Stato libero, che per l’Italia non doveva mai nascere. A beneficiarne furono quei poteri triestini che si misero a disposizione del vecchio padrone che prometteva in cambio la libertà di trattare la città come loro feudo. Massoneria deviata triestina più mafia: un patto di ferro che avrebbe segnato il destino di una terra trasformata da Patria della legalità universale a zona al di fuori di ogni legge.
Da allora Trieste è stata governata da uno Stato che aveva l’unico reale interesse di bloccarne il prezioso Porto internazionale, concorrente imbattibile per i porti italiani, consolidando decennio dopo decennio uno stato di illegalità assoluta diventato legge con un’inversione delle metaregole del diritto universalmente riconosciuto.
Chi oggi viene in una Trieste in fermento vedrà solo alcuni segni di un fuoco che cova sotto le ceneri della ribellione civile in corso contro l’oppressione italiana. Ma per capire che il punto di non ritorno è stato superato da un pezzo basta analizzare il funzionamento immutato nel tempo della macchina del potere del sistema Italia trapiantato a Trieste.
L’Italia qui non è certo stata avara regalando il fior fiore della propria malversazione di Stato e, visto che si sta parlando del Paese più corrotto della decadente Europa dei banchieri, non è poco. Il risultato è stato garantito innestando nel sistema di potere locale a guida pseudo massonica un solido impianto di funzionari colonizzatori supportati dalla rete di Gladio e quindi dai servizi segreti speciali deviati operanti nei territori del Nord Est.
A Trieste troverete così un Tribunale amministrato secondo le regole di questo “sistema” che ovviamente tutela i propri affiliati. Ecco perché nessuna tangentopoli è mai scoppiata in una città che sprofonda nella corruzione. Qui gli affari (e le sentenze) si fanno con strette di mano e segnali inequivocabili. Sono appunto quelli del “clan”: tutti ligi al “grande maestro”. Che naturalmente non può che essere un ultra nazionalista italiano, uno dei componenti di quel “patriziato” che all’inizio degli anni ’50 (con Trieste ancora sotto il G.M.A.) strinse lo scellerato patto di “fedeltà” con la nuova Italia post fascista.
Il numero di alti funzionari provenienti in buona parte dall’Italia meridionale, e la loro permanenza pluridecennale in posizioni chiave, è sintomatico di questa colonizzazione attuata con i metodi propri di questa “rete” masso-mafiosa deviata e nazionalista. A partire dal vertice della piramide del potere, ovvero l’autorità giudiziaria.
A Trieste la sezione civile e fallimentare del tribunale è guidata da un giudice siciliano che vi ha messo radici. Si chiama Sansone*, ma non ha nulla di biblico. Se non la durata pressoché illimitata del suo mandato. Possibile che un settore così delicato e strategico rimanga per trenta anni sotto controllo della stesso contestato magistrato? La vita economica di questa città di conquista è passata sotto il controllo di questo giudice garantista dei poteri forti. Con risultati ovviamente scontati: assoggettamento del settore produttivo alle regole del “sistema di poteri locali” e quindi collasso economico controllato.
Sempre al Tribunale di Trieste si trova quale presidente della sezione penale un altro siciliano, il palermitano Gulotta. Anche lui da più di trenta anni radicato in questa terra da convertire alla cultura della legalità italiana. Proprio questo magistrato, dall’alto del suo potere “illegittimo” (agendo come i suoi colleghi al di fuori del territorio della Repubblica italiana senza alcun mandato valido – n.d.r.) si era scagliato contro gli indipendentisti di “Trieste Libera” accusati di avere disturbato in udienza uno dei tanti giudici italiani che negando la validità del trattato di pace rigettano arrogantemente ogni legittima richiesta presentata dai cittadini del TLT.
Gulotta aveva definito come indegna gazzarra la protesta civile dei cittadini del TLT che chiedevano il rispetto della Legge. Una vera offesa per chi l’unica legge che qui deve fare rispettare è quella del più forte, che mal si sposa con la facciata di perbenismo legalitario che l’Italia ha cercato di erigere attorno al mito di Trieste: la città italiana per eccellenza.
A Trieste la Giustizia non c’entra nulla. E infatti a Trieste non si amministra la Giustizia legalmente: se la chiedi come cittadino o ti archiviano o ti condannano per averli disturbati. Il metodo utilizzato è quello del logoramento continuativo: si tratta di disarmare i cittadini dagli strumenti giuridici per impedirgli di reagire ai soprusi della politica d’occupazione. Così si spiegano le sistematiche archiviazioni di ogni procedimento contro il potere locale (gli eredi del “Clan”) e le persecuzioni dei denuncianti anziché i rinvii a giudizio dei denunciati.
E grazie a questo uso politico di un tribunale italiano che possono fiorire indisturbate le mafie, gli appalti truccati, le distrazioni di fondi pubblici, e in generale tutto il sistema di illegalità che tiene in piedi la cricca di potere locale che saccheggia la città, più che ben tollerata da Roma il cui unico fine è quello di eliminare Trieste con il suo porto dalla mappa economica mondiale.
La ristagnazione delle carriere dei magistrati in servizio al tribunale di Trieste è quindi funzionale a questo sistema di potere, onde garantirgli l’immunità assoluta. Chi arriva a Trieste deve essere gradito al “Clan”, altrimenti non dura a lungo. I magistrati con lunga permanenza e inseriti quindi nelle posizioni chiave sono quelli che in genere rispondono allo standard richiesto. Eccezioni se ne trovano naturalmente, ma quei pochi giudici che non fanno parte di questa “rete” non riescono a modificare questa situazione.
Si genera in questo modo anche quel clientelismo familiare, altra piaga insanabile del sistema di potere italiano, che qui assume le forme ancor più odiose di questa legalità all’incontrario tipica dei Paesi colonizzatori nei confronti dei popoli sottomessi. Nel Territorio Libero che noi vogliamo questo non sarà possibile. Ma in Italia questa è la normalità: la normalità tipica del Paese a più alto tasso di corruzione in Europa.
Normalità che a Trieste riceviamo come conseguenza di quel patto di ferro firmato tra lo Stato italiano e il clan dei patrizi pseudo-massoni triestini in quel lontano 1953. Un accordo riservato, sotto segreto di Stato, con cui la nuova Italia repubblicana concedeva lo sfruttamento parziale della colonia occupata ai signorotti locali: i traditori di Trieste.
* Il giudice Sansone è stato alla fine trasferito dal maggio 2014 al tribunale di Gorizia diventandone presidente. Al tribunale di Trieste è arrivato in cambio l’ex presidente del tribunale di Gorizia, il tarantino Matteo Trotta, che ha gestito con i vertici del distretto giudiziario di Trieste buona parte della tristissima vicenda del diniego di giustizia per la strage dell’amianto nei cantieri navali di Monfalcone. Un valzer di poltrone che nulla cambia nella mala gestione coloniale del tribunale del Territorio Libero di Trieste.
Tratto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante