LE SCANDALOSE SENTENZE DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA ITALIANA SUL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE
Articolo del 25 marzo 2014.
MASSONERIA DEVIATA, NAZIONALISMO ITALIANO E TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE
Il 19 marzo 2014 il Consiglio di Stato ha depositato a tempo di record la sentenza di secondo grado sull’appello di 50 cittadini di Trieste contro la sentenza n. 530/2013 del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli Venezia Giulia. Si tratta della decisione con cui nell’ottobre 2013 era stato rigettato il ricorso per l’annullamento delle elezioni regionali 2013 svolte nell’attuale Territorio Libero di Trieste.
La sentenza del TAR FVG era ed è un “mostro giuridico” che andava a ledere i diritti fondamentali assicurati ai cittadini di Trieste dal Trattato di Pace con l’Italia del 1947, dichiarava “eversore” il primo ricorrente (Roberto Giurastante) per aver chiesto il rispetto di leggi vigenti insieme ai suoi concittadini, e lo accusava di mettere a rischio l’unità dello Stato italiano. Tutto questo nonostante le leggi italiane vigenti che confermano, dal 1947, l’indipendenza del Territorio Libero di Trieste con cessazione della sovranità italiana (esercitata dal 1920-1943). Si tratta di norme prevalenti nell’ordinamento della Repubblica italiana e confermate dalla sua Costituzione.
Davvero uno scandalo istituzionale, esteso inevitabilmente a livello internazionale con la conferma integrale del “mostro giuridico” da parte del Consiglio di Stato italiano, come se questa sentenza amministrativa potesse riscrivere i trattati internazionali e se i giudici italiani potessero cancellare l’ordinamento internazionale (nel diritto amministrativo, la sentenza vale solo per il singolo atto impugnato, in questo caso la convocazione delle elezioni).
Su questo tema, nel 2016 la I.P.R. F.T.T. ha pubblicato una expertise di diritto internazionale a firma della sua Law Commission. Monitoraggio dell’amministrazione italiana del Free Territory and international Free Port of Trieste – FALSIFICAZIONE DEI TRATTATI E SIMULAZIONE DI SOVRANITÀ in atti amministrativi e giudiziari italiani: le sentenze TAR FVG n. 400/2013 e n. 530/2013 ed altri documenti analoghi o connessi.
Il documento può essere letto e scaricato QUI.
Lo Stato italiano ed i suoi organi violando le norme di diritto internazionale stabilite dal Trattato di pace del 1947 per il Territorio Libero di Trieste e le norme per la sua amministrazione civile provvisoria stabilite dal Memorandum d’Intesa di Londra del 1954, quindi anche le norme italiane che li recepiscono.
Dal 1954 hanno danneggiato e continuano a danneggiare non solo l’attuale Territorio Libero quale Stato, la popolazione sovrana di esso e le imprese ivi registrate, ma anche tutti i Paesi i loro cittadini, gli investitori o le imprese internazionali che hanno diritto od interesse legittimo a beneficiare direttamente od indirettamente delle norme del Trattato sul Porto Franco internazionale del Territorio Libero.
Ma cosa ha reso possibile tutto questo? Come fanno dei giudici italiani a fare sentenze contro la legge e contro i principi fondanti dello stesso Stato italiano?
Il caso di studio della sentenza del Consiglio di Stato sul Territorio Libero di Trieste ci permette di aprire una finestra su quel mondo sotterraneo che governa l’Italia e che è fatto da solide reti di collusione tra magistratura e poteri trasversali. Questo sistema permette un controllo effettivo su cause di interesse rilevante, e di potere avere sempre il magistrato giusto nel posto giusto.
Si tratta in pratica di quel governo garantito da una cosiddetta “Fratellanza giuridica” una camorra nazionalista pseudo-massonica italiana che già i servizi inglesi avevano individuato durante l’amministrazione Anglo-Americana del Territorio Libero di Trieste e denunciato per i suoi legami con ambienti analoghi nella vicina Italia ed il cui scopo era favorire con propagande o azioni eversive il “ritorno” dell’Italia a Trieste (un interessante rapporto sull’argomento è pubblicato in questo post: LINK).
Di questa “Fratellanza giuridica” farebbero parte avvocati, cancellieri, magistrati, ufficiali giudiziari. E che nel caso di Trieste può contare sull’appoggio della rete – a sua volta deviata – dei servizi speciali del confine orientale: la cosiddetta “Gladio 2”.
Possibile che per un caso così scottante quale quello della sentenza del TAR FVG sulla questione del Territorio Libero di Trieste venga designato un giudice ultra nazionalista triestino che non nasconde nemmeno i suoi contatti con ambienti infestati dalla pseudo massoneria nazionalista italiana?
Aggiornamento: per un approfondimento consigliamo l’analisi de La Voce di Trieste, pubblicata il 22 dicembre 2015 “Quale Massoneria a Trieste?” LINK).
È una massoneria del tutto “particolare” quella in cui si riconoscono questi rappresentanti del potere giudiziario, una massoneria irregolare, ferocemente nazionalista e che agisce anche in simbiosi con reti criminali internazionali per innescare focolai di tensione nei Balcani per riconquistare i territori perduti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una vera camorra che in nome della lealtà all’Italia ha ricevuto in cambio carta bianca per i propri affari più sporchi: l’Italia nella sua versione più realistica di anti-Stato, o meglio di Stato delle camorre istituzionalizzate.
Ma chi è questo inossidabile campione dell’antidiritto italico? Ne troviamo ampie tracce sulle cronache locali e nazionali. Ma partiamo dall’inizio. Il giudice Fulvio Rocco, componente della quinta sezione del Consiglio di Stato che ha rigettato il ricorso dei cittadini di Trieste che chiedono il rispetto del Trattato di Pace che riconosce l’indipendenza alla città ed al suo porto internazionale è una vecchia conoscenza.
Già magistrato del T.A.R. Veneto e professore a contratto della nazionalista università di Trieste (vedere il recente vergognoso convegno mistificatorio organizzato per difendere la stessa illegittima sentenza del TAR FVG su cui il CDS ha potuto poi dare prova delle proprie eccelse qualità di organo politico che non esita a calpestare la legge dello Stato), il Rocco non aveva mai fatto a meno di sostenere le tesi secondo le quali il Territorio Libero di Trieste non sarebbe mai esistito (sebbene l’ordinamento italiano stesso dica il contrario).
Ad esempio, in un saggio del 2005 sul Trattato di Osimo (“Gli accordi di Osimo: la recezione nel diritto interno italiano”) il Rocco si fa portavoce della tesi nazionalista italiana secondo cui nel 1975 l’Italia avrebbe “ceduto” l’allora Zona B del Territorio Libero alla Jugoslavia. Una tesi basata sulla falsa premessa che l’Italia non vi avrebbe mai perduto la sovranità (di nuovo, nonostante tutte le leggi che dichiarano il contrario, a partire dal Trattato di Pace).
In verità, il trattato italo-jugoslavo del 1975 era un semplice accodo politico bilaterale per porre fine alle rivendicazioni e contese territoriali tra i due Stati e non poteva modificare lo status di Trieste (l’ex zona B è esistita fino alla dissoluzione del governo jugoslavo amministratore ed è stata riconosciuta sotto la sovranità delle nuove Repubbliche indipendenti di Slovenia e di Croazia nel 1992, con sei risoluzioni delle Nazioni Unite ed a seguito di plebisciti).
Vediamone invece cosa scrive nel saggio del giudice Rocco:
«Giorni fa, nel preparare questa relazione ho sfogliato una pubblicazione che nel 1976 ricevetti dalle mani dell’amico on. Renzo De Vidovich, all’epoca deputato al Parlamento e contenente ampi brani degli interventi del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro degli Esteri, di Deputati e di Senatori in occasione del voto che nell’ottobre del 1975 autorizzò il Governo dell’epoca a concludere il negoziato con la Jugoslavia e i conseguenti Accordi di Osimo.
L’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Aldo Moro, pur sollecitando il voto favorevole del Parlamento disse – tra l’altro – che “naturalmente rimane(va) una profonda amarezza, che non e(ra) solo dei combattenti e degli esuli”, dando con ciò atto che la soluzione proposta toccava la sensibilità di un’ampia parte del popolo italiano.Tra i coinvolti c’ero anch’io, figlio di istriani (ancorché, nel mio nucleo familiare di origine, non profughi).
All’epoca dei fatti stavo per iniziare il terzo anno di giurisprudenza a Trieste, dove ero anche Presidente dell’allora Movimento giovanile dell’Unione degli Istriani.
La conclusione degli Accordi di Osimo e la susseguente loro ratifica determinò, pur nella scontata e generale avversione al contenuto politico ed economico degli Accordi stessi, un cambiamento, sia pure non immediato, ai vertici dell’Unione, indotto per forza di cose dall’impianto a Trieste di quel particolare laboratorio politico del quale ha egregiamente parlato stamane, da par suo, l’amico Roberto Spazzali.
Si fece quindi da parte l’Avv. Lino Sardos Albertini, fino a quel momento Presidente dell’Unione, nella consapevolezza dell’esaurimento di una strategia che i politologi oggi definirebbero bipartisan e con la quale – pur nell’assenza dell’attuale assetto politico “bipolare” – erano state trasversalmente sensibilizzate tutte le forze politiche, non soltanto di opposizione ma anche (e soprattutto) delle maggioranze governative, circa l’esigenza di non addivenire alla cessione della Zona B del Territorio di Trieste: e ciò – segnatamente – per i tramite di appositi “Comitati di difesa della Zona B” sorti un po’ dovunque, non soltanto in Italia, e che agivano svolgendo un’azione che oggi potremmo definire di lobbing».
Sempre in questo testo infarcito di visioni ideologiche nazionaliste per negare la validità dei Trattati sottoscritti dall’Italia sulla questione Trieste, il magistrato ammette peraltro la propria incompatibilità a svolgere le sue funzioni nella città natale:
«Nel mio lavoro, mi sento più sereno altrove, in città nelle quali – pur nel mio piccolo – non sono stato “parte” e dove, pertanto, nulla mi può essere imputato circa il mio “vissuto” antecedente all’esercizio delle funzioni giurisdizionali e del quale, peraltro, nulla rinnego. Allo stesso tempo, proprio in relazione alla circostanza che la mia attività di giudice non riguarda il Friuli Venezia Giulia e che, rebus sic stantibus, ciò presumibilmente sarà anche per il futuro, ho accettato questo invito».
Ma il destino ha voluto diversamente: il magistrato nemico del Territorio Libero è stato messo a giudicare in una causa che per sua stessa ammissione era incompatibile per le sue pregresse attività non solo politiche. Sarà un caso?
Certamente qualche ulteriore dubbio emerge quando si apprende che il magistrato “patriota” è indagato per peculato e corruzione. Solo un’altra prova di come molto spesso gli alti ideali del neo-irridentismo italico non si sposino perfettamente con la sana gestione della cosa pubblica…
Tratto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante
Segue un articolo tratto da “Il Fatto Quotidiano” (25 febbraio 2014) che descrive come funzionano le collusioni tra magistratura, massonerie deviate e crimine organizzato nella vicina Repubblica Italiana:
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Giudici amministrativi: più che un omicidio, è un suicidio
di Alessio Liberati25febbraio 2014
In questi giorni negli ambienti dei grand commis si grida all’omicidio dei giudici amministrativi (Tar, Consiglio di Stato e Corte dei Conti) perché il Presidente Renzi (finalmente!) ha deciso di porre un argine alla doppia carriera dei giudici amministrativi, ostacolandone la presenza nei posti chiave della amministrazione (uffici legislativi e capi di gabinetto dei ministeri).
A me però, più che un omicidio, sembra un suicidio: basta guardare cosa hanno fatto i giudici amministrativi negli ultimi anni – fatti che denuncio da anni su questo blog – per capire di cosa sto parlando.
Ho già scritto in passato della folta schiera dei magistrati amministrativi indagati: a questi vanno aggiunti due presidenti emeriti del Consiglio di Stato (Paolo Salvatore e Alberto de Roberto) che, significativamente, si sono avvalsi del termine di prescrizione per parte dei reati loro contestati nell’ambito della indagine sul c.d. caso Giovagnoli, un Consigliere di Stato (Fulvio Rocco) accusato di aver interferito in un processo per favorire la figlia, il presidente di sezione Tar Adriano Leo, accusato addirittura di aver cambiato una sentenza dopo che era stata già decisa in modo diverso.
A ciò va aggiunta la posizione del Csm dei giudici amministrativi che, a seguito di denuncia (rilevatasi poi fondata) dell’appartenenza massonica (in sonno) di alcuni magistrati (che è vietata per legge) ha deciso di mettere sotto procedimento disciplinare chi aveva denunciato tale scandalo e non chi era risultato effettivamente massone, rifiutandosi poi di disciplinare nuovamente la materia, nonostante esplicite richieste.
E infine, tutti i privilegi che negli anni sono riusciti ad ottenere, come per esempio un’inedita forma di straordinario per 1.300 euro ad udienza: prima il Csm dei giudici amministrativi ha ridotto il carico di lavoro massimo dei giudici amministrativi (che è bene ricordare fanno 2 udienze al mese!) poi ha dato loro facoltà di aumentare il carico di lavoro prima ridotto (che si attesta così a quello precedentemente svolto, che è pochissimo in confronto a quanto fanno i giudici ordinari), ma solo con la formula delle udienze aggiuntive, una sorta di straordinario pagato dal contribuente ben 1.300 euro a magistrato, per ogni udienza! Il tutto, di fatto, con tre mesi di ferie circa ogni anno.
Infine, una questione di logica: se il Pm Gratteri, che è un magistrato ordinario che ha dedicato la sua vita alla lotta antimafia, non può fare il ministro della Giustizia (perché è inopportuno che un magistrato si occupi del “suo” ministero), come si può sostenere che i giudici del Tar, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti possano occupare i posti chiave nelle pubbliche amministrazioni su cui poi devono giudicare (si pensi a Frattini o Patroni-Griffi, che sono tornati da ex ministri a giudicare sui provvedimenti dei loro governi e di quelli successivi)? O la regola vale solo per un Pm antimafia che da sempre combatte le contiguità tra politica, massoneria e criminalità organizzata?