LE ARMI CHIMICHE ITALIANE NEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE
Enormi discariche che celano non solo rifiuti tossico nocivi ma anche i residuati dell’arsenale di guerra italiano. Non stiamo parlando solo di vecchi fucili, bombe e mine inesplose, carcasse arrugginite di cannoni, e di altri “cimeli” da musei di guerra. Stiamo parlando anche delle armi di distruzione di massa che l’Italia aveva realizzato tra il 1914 e il 1945.
Armi chimiche che l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, e con la firma del Trattato di Pace del 1947, non avrebbe più potuto produrre e detenere. E che vennero portate nell’allora Zona A del Territorio Libero di Trieste dopo che il Governo italiano ne ricevette l’amministrazione civile provvisoria (1954).
L’attuale Territorio Libero divenne così una valvola di sfogo per l’Italia che vi nascose ogni sorta di “veleno di Stato”. Veleni di Stato che andavano ad aggiungersi alle ingenti scorte di armi chimiche stoccate in depositi temporanei e lascito della seconda guerra mondiale.
L’occultamento di questi scomodi “rifiuti” si intensificò e si estese anche al Porto Franco internazionale di Trieste con grandi discariche costiere, realizzate a partire dalla metà degli anni ’60, ovvero dopo la costituzione di un nuovo organo usato ingannevolmente per simulare la sovranità italiana sul Territorio Libero di Trieste: la Regione Friuli Venezia Giulia.
Un esempio di questo nuovo utilizzo del porto è la discarica/terrapieno di Barcola. Negli anni si continuò con questa strategia di saccheggio del territorio ampliando le discariche costiere e sottomarine, spingendole fino ai confini con l’allora Jugoslavia e dirottando poi molti dei rifiuti tossico nocivi, comprendendo tra questi quelli dell’arsenale di guerra chimico italiano, sull’altopiano carsico.
L’intensità di questa devastazione dell’ambiente del Territorio Libero di Trieste non ha eguali a livello mondiale, considerando la limitata superficie di questo Stato (circa 212 km²).
Uno Stato smilitarizzato e neutrale trasformato in discarica di rifiuti, anche militari, dalle stesse autorità che invece avrebbero dovuto amministrarlo per conto delle Nazioni Unite e che invece approfittarono delle tensioni della Guerra Fredda per saccheggiarlo.
Ora l’Italia sta cercando di cancellare le tracce di questo scempio ambientale, almeno quelle più compromettenti. Ecco così che i fusti delle armi chimiche vengono fatti sparire dalle discariche sul Carso dove per decenni avevano potuto “riposare in pace” dopo avere sversato il loro carico di veleni letali e sotto la protezione delle autorità italiane.
È nelle viscere del Territorio Libero che si nascondono ora le prove di questo crimine contro l’ambiente e l’umanità. Un disastro ambientale accuratamente pianificato che ha fatto migliaia di vittime. E che continua a farne ogni maledetto giorno.
Eccola, la “redenzione” di Trieste secondo l’Italia.
Tratto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante
_____________
LETTURE CONSIGLIATE SULLE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA
E LA DEVASTAZIONE AMBIENTALE DI TRIESTE:
Dal sito di Greenaction Transnational:
- Armi chimiche italiane nelle discariche e nei depositi militari abbandonati della provincia di Trieste?
- Il mistero dei fusti scomparsi
- Quelle verdi colline tra Muggia e Dolina
- D come discariche
Pingback: CHI PAGA L'INQUINAMENTO DI STATO? | Trieste Libera