Trieste Libera

UN PUNTO DI SVOLTA PER LA LOTTA ALL’INQUINAMENTO DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE

UN PUNTO DI SVOLTA PER LA LOTTA ALL’INQUINAMENTO DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE

UN PUNTO DI SVOLTA PER LA LOTTA ALL’INQUINAMENTO DEL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE

L’ingresso del Parco delle Vele a Porto San Rocco: la discarica occultata da area verde/parco giochi è stata ora definitivamente sanzionata dalla Corte di Giustizia Europea.

Trieste, 30 luglio 2015. – La sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea per la discarica di Porto San Rocco a Muggia è un importante punto di svolta sulla questione irrisolta dell’inquinamento ambientale di Trieste. Ma anche la conclusione positiva di un’azione a difesa dell’ambiente e della salute pubblica iniziata molti anni fa da pochi che si sono trovati a lottare contro tanti.

La storia di questa discarica rappresenta perfettamente la lotta al sistema di illegalità che governa Trieste. Un sistema a trazione istituzionale e difficilissimo quindi da sconfiggere. Più che nelle terre di elezione delle mafie.

Sono passati dodici anni da quando presentai la denuncia per la pericolosa discarica, realizzata con la copertura delle amministrazioni pubbliche locali, di Porto San Rocco, quello che doveva diventare un fiore all’occhiello per tutti i marina turistici dell’Adriatico.

E che divenne invece uno dei perni dell’inesauribile sistema di smaltimento incontrollato dei rifiuti che a Trieste operava da sempre (almeno dall’arrivo nefasto della Repubblica italiana in queste terre) con solidi intrecci tra istituzioni e criminalità organizzata (dovremmo dire istituzionalizzata).

L’intero marina di Porto San Rocco a Muggia venne così utilizzato per fare sparire comodamente i rifiuti tossico nocivi nel sottosuolo, mentre sopra quella che era diventata una grande discarica abusiva si costruivano abitazioni, negozi, posti barca, aree verdi.

Tra queste ultime il cosiddetto “Parco delle Vele”, una collina affacciata sul mare che serviva a nascondere 18.000 tonnellate di fanghi industriali contenenti policlorobifenili, idrocarburi aromatici, metalli pesanti.

Un mix di letali inquinanti cancerogeni racchiusi in una sacca plastica a tenuta stagna garantita dieci anni. La collina adibita ad area verde e parco gioco per bambini, con annessa spiaggia sottostante, era quindi diventata la tomba perfetta per fare sparire i rifiuti più pericolosi il cui smaltimento regolare sarebbe stato troppo oneroso.

Altre discariche venivano poi realizzate a Porto San Rocco direttamente a mare. Oltre a quelle situate all’interno del Marina turistico, va ricordata la discarica “Acquario” (dal nome della società responsabile) al confine con la Slovenia. Anche in questo caso la discarica a mare era realizzata con rifiuti tossico nocivi e doveva portare alla edificazione (sopra la discarica) di uno stabilimento balneare.

Davanti alla discarica Acquario si trovavano (e si trovano) alcuni tra i principali allevamenti mitili della provincia di Trieste che venivano pienamente investiti dallo scarico continuato dei pericolosi inquinanti, tra i quali in notevole quantità il letale mercurio.

Ho raccontato la storia di queste discariche e del sistema di corruzione responsabile del disastro ambientale di Trieste nel libro “Tracce di Legalità”. Una storia lunga e dolorosa per chi si è opposto alle ecomafie italiane che operano da sempre indisturbate a Trieste.

Per avere denunciato l’esistenza della discarica abusiva di Porto San Rocco e la sua pericolosità sono stato rinviato a giudizio su richiesta del P.M. Federico Frezza: avevo, secondo l’accusa, ecceduto nei miei interventi segnalando il rischio per la salute pubblica. Gli autori del reato, ovvero della discarica, venivano invece “salvati”. Per loro nemmeno un rinvio a giudizio, ma la comoda prescrizione del reato, perché il G.I.P. del Tribunale di Trieste non riconosceva la continuazione dell’inquinamento e del reato stesso.

La prescrizione per i reati ambientali in Italia è una sorta di anticamera per l’insabbiamento definitivo. E infatti le amministrazioni pubbliche locali, a partire dal Comune di Muggia, nulla poi facevano per provvedere alla bonifica di un’area che, responsabilità penali o meno, era pesantemente inquinata. Fino ad arrivare al tentativo di sanare la situazione mantenendo le discariche e dichiarandone la compatibilità con l’ambiente e la salute pubblica in una riscrittura all’incontrario delle normative ambientali e sanitarie.

Nonostante il muro di gomma eretto dalle autorità italiane la situazione si sbloccava quando presentavo le denunce all’Unione Europea. La Commissione Europea inseriva la discarica abusiva di Porto San Rocco nel procedimento di infrazione 2003/2007 contro l’Italia.

Questo accadeva mentre si apriva contro di me il processo per avere reso pubblica l’esistenza della discarica. Un processo che terminava con la mia assoluzione ma che era il chiaro indice della politica dell’autorità giudiziaria italiana sulla questione inquinamento di Trieste. Nessuno doveva disturbare gli inquinatori, anche perché erano ben ammantati di nazionalismo italiano.

In effetti quando si parla dell’ancora poco conosciuto disastro ambientale di Trieste è difficile farne capire anche la rilevanza politica internazionale. Qui non è stata pesantemente inquinata una piccola provincia italiana, qui è stato pianificato ed attuato un crimine ambientale contro un altro Stato.

I 212 chilometri quadrati del Territorio Libero di Trieste sono stati utilizzati, nel nome del confinante Stato italiano, come area per lo scarico di rifiuti speciali con la collaborazione delle asservite amministrazioni pubbliche locali.

Una gestione dei rifiuti fatta per “distruggere” il territorio nemico. Dal Carso, con le centinaia di grotte e doline adibite a discarica, al mare, con l’intero arco costiero (compreso il Porto Franco) disegnato da interramenti di rifiuti e discariche sottomarine, il Territorio Libero di Trieste è stato per decenni un grande laboratorio sperimentale per lo smaltimento dei rifiuti delle ecomafie istituzionali italiane. Ed è chiaro che ora i responsabili non vogliano pagare i danni a chi ha dovuto subire questo subdolo inquinamento venendone avvelenato.

Ecco quindi l’importanza di azioni che portando ad accertare a livello internazionale le responsabilità degli inquinamenti triestini, superano le barriere di una giustizia che, nel nome dell’Italia, nasconde uno scomodo passato per proteggersi da un incerto futuro.

La discarica “mimetizzata” da area verde/parco giochi di Porto San Rocco a Muggia è una delle discariche che ha portato alla condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea (causa C-196/13) il 2 dicembre del 2014. Come ricordato dalla Commissione Europea l’Italia dovrà ora pagare pesanti sanzioni fino ad avvenuta decontaminazione dell’area inquinata.

Ci sono voluti 12 anni di lotta contro un intero sistema di malgoverno per arrivare a questo risultato. Un piccolo grande passo per la liberazione di Trieste dall’inquinamento. Un risultato importante per chi crede ancora nella legalità.

Tratto dal blog “Ambiente e Legalità” di Roberto Giurastante

Risposta delle DG Ambiente sull'inquinamento di Porto San Rocco (Muggia).

Risposta delle DG Ambiente sull’inquinamento di Porto San Rocco (Muggia).